I derivati del frumento

2. 5 I DERIVATI DEL FRUMENTO

Il frumento, ovvero il grano, è il cereale più coltivato in Italia. Il nome scientifico del chicco di grano e di tutti gli altri cereali è cariòsside.

2. 5. 1 IL CHICCO DI FRUMENTO
Il chicco di frumento, preso così com’è dalla spiga, a causa del suo involucro esterno particolarmente duro che macinato diventa crusca, non è molto digeribile. La parte più utile del chicco è l’interno, che contiene molto amido (un tipo di zucchero) e glùtine (una sostanza ricca di proteine che facilita gli impasti con acqua grazie alla sua elasticità e collosità): dall’interno del chicco si ricavano le farine.
Il frumento si distingue in due prodotti della macinazione:
1. il grano duro, che produce una farina dai grani grossi, la semola; in Italia è coltivato soprattutto nel Meridione e si utilizza per la produzione di pasta alimentare e di alcuni tipi di pane;
2. il grano tenero, che produce farina più fine; in Italia è coltivato soprattutto al Nord per la produzione del pane e della pasta all’uovo.

Struttura del chicco di grano.


2. 5. 2 LA PRODUZIONE DELLA FARINA
La farina è un prodotto antichissimo che un tempo si otteneva con la macinazione manuale sulla pietra; oggi, ovviamente, la lavorazione della farina è altamente meccanizzata e segue le fasi sotto riportate.
Pulitura. Dopo il raccolto, il frumento ripulito dalle impurità viene conservato in sili verticali aerati, per mantenere un livello di umidità costante, fino al momento della trasformazione in farina.
Macinazione. I chicchi di frumento vengono fatti passare attraverso i mulini a cilindri, dove coppie di cilindri metallici, che ruotano in senso opposto l’uno dall’altro, rompono e triturano i chicchi.
Setacciatura. La prima setacciatura libera il chicco dalla crusca; successivi passaggi tra cilindri sempre più ravvicinati e tra setacci a maglie via via più fitte consentono di avere un prodotto macinato sempre più fine.
A seconda dei passaggi di macinazione e setacciatura si definiscono i vari tipi di farine:
- farina integrale, che non ha subito setacciature, è di colore scuro e contiene tutte le parti del chicco;
- farine di tipo 2, 1, 0 (“zero”) e 00 (“doppio zero”) che sono via via più fini e più bianche.

2. 5. 3 FARE IL PANE

Per fare il pane si possono utilizzare farine diverse: di grano duro o tenero e integrale, di soia, di farro o di segale; all’impasto di base (quello che in panetteria si chiama pane comune) si possono poi aggiungere olio, latte, strutto, spezie, noci, ecc.

Sinteticamente, le fasi della panificazione sono:

- l’impasto di farina bianca con acqua (la metà del peso della farina), l’1% di lievito e sale a piacere (è famoso il pane toscano che ne è privo) ►FIG. 5;

- la foggiatura dei pani per mezzo del taglio e della manipolazione dell’impasto nelle forme desiderate (rosette, panini, filoni, ecc.); la lievitazione in cui le forme, che vengono messe a riposare a circa 30 oC, aumentano di volume;

- la cottura che avviene a una temperatura tra i 220 e i 270 oC e ha tempi diversi a seconda della grandezza delle forme di pane. Durante la cottura il volume aumenta ancora liberando l’anidride carbonica, quindi parte dell’acqua evapora e comincia a formarsi la crosta che, indorandosi, si caramella.

- il raffreddamento, fase in cui il pane perde umidità e diventa più fragrante e digeribile.

I GRISSINI - per saperne di PIÙ!

Il grissino, una forma di pane speciale simile a un bastoncino sottile e croccante, è uno dei prodotti più celebri della tradizione gastronomica piemontese, sia in Italia che all'estero.

Il nome grissino deriva dalla ghèrsa, un tipo di pane caratteristico del Piemonte dalla forma allungata.

La leggenda vuole che il grissino sia nato dalla fantasia di un fornaio che lavorava per la corte sabauda verso la fine del Seicento: l'artigiano perfezionò questo alimento per poter nutrire l'allora principe Vittorio Amedeo II, che trovava la mollica del pane indigesta.

I grissini ebbero subito un grande successo dovuto alla loro digeribilità e alla caratteristica di potersi mantenere fragranti molto più a lungo del pane. Si narra che persino Napoleone se li faceva arrivare da Torino.

Le qualità più famose sono i robatà (si pronuncia "rubatà"), lunghi tra i 40 e gli 80 cm e simili a bastoncini nodosi, e il grissino stirato.

Anche il grissino può essere aromatizzato in vari modi: al sesamo, all'origano, alle olive, ecc.

2. 5. 4 LA PASTA

La pasta alimentare, il cibo a cui noi italiani siamo così affezionati e che è noto in tutto il mondo, è prodotta dalla miscela di acqua (25-30%) e semola di grano duro.

È un impasto che non subisce cottura ma è solo fatto essiccare. Le fasi della lavorazione della pasta sono quelle che seguono.

►    Impasto. La lavorazione è ormai del tutto meccanizzata: acqua e semola vengono messe nell’impastatrice.

►    Gramolatura. L’impasto, nella gramolatrice, subisce un’ulteriore miscelazione meccanica per eliminare tutti i grumi, fino a ottenere una buona omogeneità e plasticità.

►    Trafilatura. Liscio e omogeneo, l’impasto raggiunge la trafila, che è un lungo cilindro orizzontale che dà alla pasta la forma desiderata per estrusione, ovvero

obbligando l’impasto a passare attraverso dischi con profili diversi.

All’uscita della trafila una lama taglia la pasta nella lunghezza voluta.

►    Essiccazione. È la fase in cui si elimina l’acqua rimasta nell’impasto. La pasta si indurisce gradualmente, fino a raggiungere un aspetto quasi vetroso: a questo punto è pronta per il confezionamento.

2.5.5 IL RISO

Il riso è la pianta più coltivata sulla Terra. Il riso grezzo viene raccolto con i chicchi ancora coperti dalle glumelle, il loro “astuccio” protettivo; poi viene inviato alle riserie dove subisce le lavorazioni necessarie alla sua raffinazione:

-    la pulitura, che elimina dal riso grezzo le sostanze estranee;

-    la sbramatura, che serve a togliere le glumelle attorno al chicco;

-    la sbiancatura, che toglie al riso la pula, una sottile pellicola che lo riveste ancora;

-    la spazzolatura e la lucidatura, dove il riso oltre a essere spazzolato viene cosparso di olio di lino e vaselina;

-    la brillatura, fase in cui il riso viene ulteriormente sbiancato con talco e glucosio.

Le lavorazioni, che servono per migliorare l’aspetto e la conservabilità del riso, eliminano però parte delle sostanze nutrienti che si trovano sulla superficie del chicco. Il riso parboiled è stato studiato per risolvere questo problema: il riso viene immerso in acqua 48 ore e poi sottoposto a vapore per una mezz’ora. Il trattamento serve a far passare vitamine e sali minerali all’interno del chicco e a fargli tenere meglio la cottura.

2. 6 GLI OLI ALIMENTARI

L’olio che troviamo sulla nostra tavola è di origine vegetale e non è altro che grasso allo stato liquido.

L’olio, però, si estrae anche dal grasso di animali come le balene, le foche e dal fegato del merluzzo. L’olio di origine animale non è destinato all’alimentazione, ma è utilizzato dall’industria conserviera, cosmetica e farmaceutica.


2.6.1 L’OLIO D’OLIVA

L’olio d’oliva è un olio alimentare che si estrae dalle olive, i frutti dell’olivo, un albero che si trova in tutti i Paesi della fascia mediterranea. In sintesi, la produzione dell’olio comprende le fasi che seguono.

► Raccolta. La raccolta delle olive può essere fatta:

-    con la bacchiatura o abbacchiatura, ovvero battendo i rami con lunghi bastoni per far cadere le olive sopra una rete disposta a terra;

-    in modo meccanizzato, con macchine

che scuotono l’albero e raccolgono le olive con una specie di ombrello rovesciato.


► Stoccaggio. Se le olive vengono raccolte in mucchi rischiano di fermentare, producendo acidità che rovinerebbe la qualità dell’olio. Lo stoccaggio consiste nel mettere le olive in cassette aerate di plastica entro 24-48 ore dalla raccolta.


► Estrazione dell’olio. L’olio può essere estratto dalle olive con metodi esclusivamente meccanici: in questo modo si ottiene l’olio definito per legge vergine, che va distinto dagli oli ottenuti con metodi chimici (come succede per gli oli di semi, gli oli di oliva rettificati e raffinati e gli oli di sansa).


La fase di estrazione consiste in sei interventi successivi.


1.    Operazioni preliminari. Sono quelle di eliminazione di foglie e rametti, e di lavaggio delle olive, per togliere tutte le impurità ►FIG. 6.


2.    Molitura. Le olive sono sottoposte ad azioni meccaniche che le schiacciano, ottenendo la pasta d’olio, una massa composta da una parte solida, la sansa (frammenti di noccioli, bucce e polpa), e una liquida, il mosto di olio (emulsione di acqua e olio).


3.    Gramolatura. È l’operazione che rompe l’emulsione fra acqua e olio, separandoli. Si effettua in macchine dette gràmole o gramolatrici FIG. 7, che sono delle vasche in cui ruotano pale elicoidali che rimescolano lentamente la pasta d’olio per rompere l’emulsione.


4.    Estrazione del mosto di olio. Avviene per centrifugazione orizzontale FIG. 8 tramite un tamburo conico rotante ad asse orizzontale chiamato decanter che divide le parti pesanti e l’acqua di vegetazione dal mosto di olio FIG. 9.


5.    Separazione dell’olio dall’acqua. Il mosto di olio contiene ancora una piccola quantità d’acqua che può essere eliminata con la centrifugazione verticale, effettuata con macchine che dividono l’acqua dall’olio con una rotazione ad alta velocità. L’olio ottenuto dopo il primo passaggio del mosto è l’extraver-gine che deve avere un’acidità massima dello 0,8%.

La pasta d’olio rimasta può subire un secondo passaggio da cui si ottiene un olio più acido, chiamato olio vergine: se l’acidità supera il 2% viene definito lampante e, per diventare commestibile, deve subire un trattamento chimico a base di solventi (olio d’oliva rettificato).


6.    Stoccaggio e imbottigliamento. L’olio di oliva va conservato in bottiglie di vetro scuro o in latta, al riparo dalla luce e da fonti di calore.

In campo cosmetico, l’olio di oliva serve per produrre saponi; i nòccioli delle olive sono, invece, un ottimo combustibile, economico ed ecologico.


2. 6. 2 ALTRI OLI VEGETALI

Oltre che dalle olive, l’olio può essere estratto da:

-    frutti oleosi (palma, cocco, avocado);

-    semi oleosi (arachide, mais, girasole, soia, colza).

Il processo di estrazione dell’olio dai semi inizia con il lavaggio e la setacciatura del seme, che successivamente viene sgusciato e privato della pellicola a seconda del tipo (all’arachide, per esempio, va tolta la pellicola).

Il seme subisce quindi una macinazione o una riduzione in scaglie, alla quale seguirà un riscaldamento a vapore per ammorbidire i semi in modo da facilitare l’estrazione dell’olio.

Se il seme ha un alto contenuto in grassi si esegue una pressatura, con presse simili a quelle utilizzate per l’olio di oliva.

Si ottiene così un olio grezzo che deve essere rettificato, cioè sottoposto a trattamenti di raffinazione. Tutti gli oli di semi devono essere rettificati: o perché hanno colori troppo marcati (l’olio di palma è marrone), o per sapori e odori sgradevoli, o per l’elevata acidità. Dopo la raffinazione, l’olio di semi è pronto per passare al confezionamento in latte o in bottiglie prevalentemente di plastica.



Campi coltivati a colza.

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